La regione di Taş Tepeler continua a restituire indizi capaci di mettere in discussione ciò che pensavamo sulle prime comunità umane. Nel sito di Sefertepe, nel sud-est della Turchia, affiorano da mesi sculture, volti e oggetti rituali che allontanano definitivamente l’idea di un Neolitico semplice, uniforme, ingenuo. Qui prende forma un mondo molto più articolato, fatto di simboli condivisi e stili diversi, di riti che univano vita e morte, e di un linguaggio figurativo che anticipa il nostro bisogno di rappresentarci.
Volti scolpiti, rilievi contrapposti e una perla a doppia faccia
La scoperta più evidente è quella dei due volti umani scolpiti su blocchi di pietra lavorati con sorprendente precisione. Il primo, modellato in altorilievo, mostra occhi incavati, arcate sopracciliari marcate, guance ben definite e una cura per i dettagli che non lascia spazio al caso. Il secondo, ricavato in bassorilievo, appare invece più essenziale, quasi sospeso, con gli occhi chiusi e lineamenti sintetizzati. La scelta di accostare due tecniche così diverse ha suggerito agli archeologi una possibile intenzione simbolica: forse due stati dell’essere, due identità, o due modi di attraversare la vita e la morte.
Questi volti non somigliano a quelli di Göbeklitepe, Karahantepe o Sayburç. Le proporzioni, le incisioni, persino l’idea stessa di ritratto sembrano seguire una via autonoma. Per questo gli studiosi parlano già di un “stile Sefertepe”, un’impronta locale che conviveva però all’interno del grande mosaico culturale di Taş Tepeler.
Accanto ai rilievi è affiorata una minuscola perla in serpentinite nera, lucidata fino a diventare brillante come uno specchio. Su ciascun lato compaiono due volti incisi, rivolti in direzioni opposte. È un oggetto talmente piccolo da non sembrare importante, e invece apre uno squarcio su un altro aspetto dell’epoca: ciò che portavi addosso non era meno simbolico di ciò che innalzavi in pietra. Era un modo per custodire un’identità, un legame, forse un ricordo.
A rendere tutto ancora più enigmatico è una piccola scultura con la bocca serrata, chiusa come in un gesto definitivo. In molte culture antiche questa immagine richiama il momento in cui il respiro cessa e inizia qualcos’altro. Gli studiosi la stanno collegando ai rituali funerari già noti nell’area, un insieme complesso che includeva rimozione dei crani, sepolture secondarie e pratiche post mortem che raccontano un rapporto con la morte tutt’altro che lineare.
Nel frattempo, nuove analisi hanno identificato a Sefertepe anche una “skull room”, una stanza in cui erano stati deposti ventidue crani umani, quasi tutti privi di mandibola, ordinati come se fossero parte di un rituale preciso. In altre zone, invece, gli archeologi hanno trovato scheletri completi. Due modalità diverse per due funzioni diverse: memoria collettiva, culto degli antenati, o forse ruoli sociali distinti.
Tutti questi elementi, accostati, disegnano un quadro in cui il rito non era un momento isolato, ma un linguaggio che attraversava la vita quotidiana, e dove il volto – scolpito o inciso – diventava un modo per affermare un’appartenenza.
Taş Tepeler come prima regione culturale integrata
La nuova stagione di scavi sta confermando ciò che già si intuiva: l’area di Taş Tepeler, che comprende siti celebri come Göbeklitepe e Karahantepe, ma anche realtà meno note come Sefertepe, non era una somma di insediamenti sparsi. Era un sistema culturale connesso, un luogo dove circolavano idee, tecniche e storie.
Le ultime scoperte di Karahantepe vanno nella stessa direzione. Qualche mese fa è emersa una stele antropomorfa con un volto realistico inciso, la prima nel suo genere. Fino a quel momento le stele “a T” erano state interpretate come forme simboliche, quasi silhouette. Con l’arrivo dei lineamenti umani la prospettiva cambia: quelle figure potrebbero essere antenati, autorità, memorie incarnate.
È un salto decisivo nella storia dell’arte preistorica. Se l’umanità comincia a dare un volto ai propri pilastri, vuol dire che sta costruendo una narrazione, una specie di album impossibile delle origini. Tutto ciò avviene dodicimila anni fa, molto prima dell’agricoltura stabile e della sedentarizzazione definitiva. In altre parole, la cultura prendeva forma prima dell’economia. E questo ribalta la linea del tempo che spesso diamo per scontata.
Quello che emerge oggi da Sefertepe è un racconto più vicino al nostro di quanto pensassimo. Comunità che ricordano, che trasformano la pietra in volto e un volto in simbolo. Persone che si interrogano sulla morte, catalogano crani, separano corpi, incidono minuscole perle perché nulla vada perduto. È un’umanità che non viveva affatto nel silenzio, ma cercava di lasciare tracce.
E forse è proprio questo a renderla così affascinante: la sensazione che quei volti scolpiti non siano lì per essere guardati, ma per ricordarci che qualcuno, molto prima di noi, aveva già iniziato a guardarsi dentro.
Fonte: T.C. Kültür ve Turizm Bakanlığı
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